Ci potrebbe sorprendere il fatto che Giovanni Climaco parlando ai monaci debba parlare del rancore. Non dobbiamo dimenticare che la vita monastica come la vita cristiana non si attua quando si è esenti da vizi e peccati ma quando si ha consapevolezza dei propri vizi e peccati in modo da poterli combattere e quindi vincersi con pazienza e perseveranza. Gesù stesso dice che “non sono i sani che hanno bisogno del medico ma i malati”. Il cristiano sperimenta che nella sua vita ha delle virtù che come la scala di Giacobbe lo innalzano nell’ amicizia con Dio, allo stesso tempo coesistono numerosi vizi che come catene lo tengono imprigionato nelle proprie passioni. Nel IX capitolo GC affronta il tema del rancore “il rancore è conseguenza naturale della collera, custode dei peccati, odio della giustizia, rovina delle virtù, veleno dell’anima, tarlo della mente, vergogna nella preghiera, recisione della supplica, estraniamento della carità, chiodo confitto nell’anima, sgradevole sentimento amato per la dolcezza della sua amarezza, peccato continuo, trasgressione incessante, vizio di tutte le ore”. Il rancore si nutre dell’odio, e va contro la carità. E’ una piaga dell’anima piuttosto grave perché trova forza attraverso altri vizi e tende a nascondersi, ad attendere il momento opportuno per poter scatenare il suo veleno “un esicasta (monaco) rancoroso è un aspide che si nasconde nella tana e porta in sé un veleno mortale”. Di questo vizio ne conosciamo le sue manifestazioni e le nefaste conseguenze sul nostro animo. Come si può guarire? Come ripudiare questo veleno dell’anima? GC è molto chiaro “il ricordo delle sofferenze di Gesù guarirà l’anima che serba rancore, facendola vergognare grandemente di fronte alla sua mansuetudine”.
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