Siamo giunti al VII capitolo, GC tratta un tema che potrebbe apparire piuttosto lontano dal nostro modo di vivere la fede al giorno d’oggi. E’ necessario ricordare che GC scrive essenzialmente a monaci, persone che hanno sentito la chiamata a seguire radicalmente il Vangelo ritirati dal mondo. Unico scopo della vita del monaco è arrivare alla piena comunione con Dio, la sua vita è assimilata a quella degli angeli in paradiso e parte dalla riscoperta del Battesimo, combattendo ogni qualsiasi genere di vizio e di peccato tramite una vita di penitenza in cui l’afflizione e le lacrime hanno un ruolo fondamentale in quanto “riportano alla purezza del Battesimo”. In questo capitolo GC parla dell’afflizione, dandone una definizione “L’afflizione è un incupimento dell’anima, il cuore si trova immerso nel suo dolore cercando smaniosamente l’oggetto della sua sete, e non potendolo raggiungere lo insegue affannosamente, e dietro a esso emette strazianti grida di dolore”. Il fine dell’afflizione potrebbe essere vario e meno santo ma per l’anima è propriamente la comunione con Dio. La vita del monaco è essenzialmente una vita di penitenza che altro non è che “lieta privazione di qualsiasi conforto”, infatti stupisce che nella vita di questi giganti dell’incontro con Dio troviamo l’intreccio tra la penitenza e la letizia, tra tristezza e gioia del penitente. L’afflizione, come tutto ciò che riguarda la vita dello spirito, non è piatta ma è un camminare, un progredire nel cammino. Si riconoscono coloro che stanno progredendo nella via dell’afflizione perché sono temperanti e conservano il silenzio delle labbra. I progrediti: caratterizzati dalla non irascibilità e dalla pazienza delle offese. I più perfetti nel cammino si riconoscono dal dono dell’umiltà, dalla sete di umiliazioni, dalla fame volontaria di tribolazioni involontarie, il rifiuto di condannare i peccatori, e una compassione che supera le forze umane.
La vita del monaco è una vita di fatica data dalla penitenza dove indispensabili sono le lacrime interiori più che quelle esteriori per poter piangere i propri peccati. La preghiera del monaco è come la supplica del condannato davanti al giudice, come quella della vedova che supplica clemenza (Lc. 18,2). E’ necessaria alla vita del monaco una grande vigilanza per non far assopire l’afflizione, lo stesso abito ricorda il lutto. L’ afflizione giunge alla perfezione nella compunzione che è il dolore del cuore che sgorga nelle lacrime. E’ necessario essere desti anche in questi sentimenti, la compunzione può essere falsa e quindi non porta alla santità, frutto di presunzione ed essere essa stessa autentica consolazione. Anche le lacrime possono essere causate da altro che non è Dio: la natura, la sofferenza che causa il peccato, la vanagloria, l’impudicizia. E’ cammino di santità riconoscere la vera afflizione e praticarla perché è sulla sua custodia che saremo giudicati.
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