5. L'OBBEDIENZA

 Nel IV capitolo, nell’opera chiamato discorso, GC pone la sua attenzione sull’importanza, nel cammino spirituale, di una guida che è necessaria per discernere la volontà di Dio nella propria vita e nell’accompagnare nel progresso spirituale. Questo ruolo fondamentale viene svolto dal superiore del monastero. Per GC l’estraneità e l’obbedienza sono le due ali d’oro attraverso cui “l’anima santa spicca risolutamente il volo verso il cielo”. Non tralascia però di indicare quale via difficile sia l’obbedienza che viene tentata dal giudicare il padre spirituale, mettendone a repentaglio la fiducia. Per controbattere le tentazioni occorre: l’arma della salmodia, il muro della preghiera, il lavacro delle lacrime, la confessione della fede attraverso l’obbedienza. Un ruolo fondamentale nell’obbedienza sta nella confessione dei peccati in cui il superiore è giudice e pastore, ruolo necessario per poter chiedere perdono davanti a Dio e davanti alla comunità. Questo duplice aspetto del perdono è presente anche nella confessione sacramentale. Il IV capitolo è arricchito da un’attenta descrizione della vita monastica con una minuziosa descrizione di vari monaci che hanno teso alla perfezione evangelica divenendo modello di santità, rimanendo tesi verso Dio anche in mezzo alle occupazioni. Sono esempi di santità che potrebbero apparire ai nostri occhi eccessivi, ma se si colgono nella vita spirituale di questi uomini che tendono alla perfezione nell’ imitazione di Cristo sono piuttosto edificanti. Un racconto narra di un monaco, Isidoro, che dopo aver avuto grandi onori sulla terra, chiese di entrare nella vita del monastero e fu messo alla prova: gli fu imposto l’obbligo di accogliere alla porta tutti coloro che bussavano, mettendosi in ginocchio, dicendo loro che era epilettico e supplicando di pregare per lui. Sembra una cosa insensata ma veniva ritenuta opportuna per provarne l’obbedienza e l’umiltà.

Un esempio a noi conosciuto che ci può aiutare a cogliere la validità di questo insegnamento è S. Rita alla quale venne chiesto di prendersi cura di un ramo di rosa ormai rinsecchito. L’obbedienza e la fiducia ha come ricompensa il cielo e il premio eterno. La visione della beatitudine eterna è costante nell’insegnamento dei padri, essa è la meta e il moto di tutto ciò che loro compiono, come dice S. Paolo per conquistarne il premio. Il nemico principale dell’amico di Dio è il peccato che come un serpente è abile nel nascondersi nella tana e da lì preparare un agguato. La fortezza nelle cadute viene dal fatto che il cadere e il rialzarsi fa parte dell’uomo per la misericordia di Dio che passa attraverso il superiore. Il monaco deve, attraverso la lotta per la virtù cristiana, tendere al suo perfezionamento, lottando contro se stesso e con i demoni che “continuamente infieriscono e si armano contro di noi”. La vigilanza sui propri pensieri è un efficace strumento, i monaci annottano su di una tavoletta che tengono attorno al cordone i loro pensieri per poi esporli al padre spirituale con fiducia. Il capitolo termina consigliando non solo di non temere i rimproveri del superiore ma addirittura di amarli perché necessari nel progresso nell’amore del Signore.


 


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