ESSERE SEGNO DEL REGNO DI DIO


Scorgiamo nel Vangelo che la liturgia quest’oggi ci offre, un insegnamento del tutto particolare per la nostra vita. Questo messaggio evangelico è messaggio di salvezza, esso ci rinnova nel cuore, ci conduce alla conversione e ci conferma nel proposito di seguire Cristo tramite la nostra speciale consacrazione.
Nel Vangelo appena ascoltato il tema centra è il regno di Dio. Una realtà che ha molto in comune con i religiosi! Il Santo Padre Giovanni Paolo II nella esortazione apostolica post-sinodale “Vita Consecrata” parla dei consacrati come coloro che attraverso la loro vita richiamano ai fedeli il Regno di Dio.


Scorgiamo quindi in questo Vangelo elementi che devono diventare sempre più incarnazione nella nostra vita di consacrati.
Il regno di Dio è “seme gettato”, così deve essere il consacrato: La domanda che sta alla base di ogni storia vocazione di speciale consacrazione “Perché il Signore mi ha chiamato? Perché non ha chiamato altri più capaci di me? Con più qualità? . Domande queste come altre simili che non troveranno mai una risposta piena se non nell’immensa misericordia e amore del Signore Gesù nei nostri confronti.
Spesso ci ritroviamo in mansioni, compiti, superiori alle nostre forze, alle nostre capacità fisiche, mentali, intellettuali. Ma proprio in quei momenti in cui ci sentiamo di più seme gettato scopriamo l’aiuto della grazia di Dio che ci accompagna. E quando incontriamo Dio incontriamo anche la comunità da cui traiamo forza.

Siamo chiamati ad essere “seme gettato” anche quando le nostre capacità non sono sfruttare, non sono riconosciuto o sono lasciate da parte. Certamente può capitare, è inutile nascondere, che troviamo superiori non certo all’altezza del loro operato, ne vediamo e spesso subiamo la loro incapacità. Anche in quel momento ci ricordiamo che siamo seme gettato. Gettato dove Dio vuole.

“Il più piccolo di tutti i semi” qui ci aiuterebbe riprendere in mano “Storia di un’anima” di Santa Teresina di Gesù Bambino, in quell’opera troviamo la strada giusta per diventare veramente piccoli.
Siamo piccoli davanti a Dio. Sentiamoci sempre bisognosi del suo aiuto, mai autosufficienti. Dobbiamo chiederlo a Dio di sentirci bisognosi di lui, della sua costante presenza, dei suoi costanti consigli. Capire che si è piccoli significa rinunciare alla cultura dell’arrangiarsi! Al fare da soli. Qui è necessario l’incontro con Dio in modo particolare nella preghiera comunitaria e poi nell’immancabile preghiera personale che vive di momenti lunghi e distensivi ma anche in brevi momenti di visita davanti al Signore. (fare di tutto per passare spesso dinanzi al tabernacolo per salutare Gesù, come un innamorato che fa la ronda sotto casa dell’amata).
Si è piccoli davanti alla comunità: attenzione piccoli non infantili. Sentire il bisogno della comunità ma non come il luogo dove sfuggo le paure ma il luogo dove dono la vita. Sentire la comunità come la mia casa, come la mia famiglia. Mi diceva un generale di una comunità “vedi don Fabrizio qui si vede se un religioso sente la comunità come una famiglia, se vede un pezzo di carta per terra e si lamenta di chi era in turno nelle pulizie e non si china prima a raccoglierlo si è ben lontani da sentirsi famiglia”. Sono questi solamente dei passi per diventare 

segno eloquente della presenza del Regno di Dio per il mondo di oggi” 
( Benedetto XVI, messaggio per la vita consacrato anno 2006)

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