“Padre, dammi la parte del patrimonio che mi spetta” Duro decreto
quella del figlio della parabola di questa domenica. Richiedere al padre la
parte del patrimonio è come decretare la sua morte. Non si chiede al padre solo
qualcosa ma la sua stessa vita. Il padre del Vangelo non si ferma a discutere,
non cerca di far ragionare l’irragionevole suo figlio, sceglie di morire, di
essere preferito a quella terza del suo patrimonio che per diritto ebraico
spettava al figlio minore “Ed egli divise
tra loro le sue sostanze”. La grandezza del padre si contempla nel suo modo
di fare: per i sogni del suo figlio è pronto a morire. E’ pronto a rinnegare
anche il suo istinto di padre che forse lo indurrebbe a qualche rimprovero a
qualche raccomandazione. Ma la vera ricchezza del padre del Vangelo non sono le
sue cose: sono i suoi figli! Questo padre non può che essere Dio! Questo figlio
testardo non posso non essere io! Non possiamo non essere che noi! Troppo
spesso nella nostra vita chiediamo a Dio ciò che ci spetta, campo libero nelle
scelte personali, campo libero nell’autogestirci la vita…e Dio? Lui che è Padre
si lascia morire! Si lascia in un certo qual comandare dalla nostra libertà.
Anche noi ci ritroviamo “a pascolare
i porci”, animali considerati impuri dalla religione ebraica. Anche noi ci
ritroviamo a condividere la stessa vita dei maiali della nostra vita, di ciò
che pian piano ci fa allontanare da Dio.
Quel Padre che per amore si era lasciato
morire non poteva rimanere impassibile di fronte a un ritorno, anche se compiuto
per motivi meramente egoistici, corre questo Padre “quando lo vide da lontano” in quel momento quella sua precedente
morte continua a confermarsi quando lo rifà erede, quando lo fa ri-partecipe
della sua stessa vita: la compassione, l’abbraccio, il bacio, l’anello al dito,
il vestito più bello, i sandali ai piedi, il vitello grasso, la festa.
Una scena tutta da contemplare,
un mistero tutto da vivere nella nostra vita!
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