La risposta a questa
domanda non è semplice. Diverse sono le risposte che ci vengono per la mente,
capiamo perciò che si tratta di una domanda importante. Infatti dalla risposta
che diamo a questa domanda dipende gran parte del nostro tenore di vita e anche
dell’impegno che mettiamo nelle nostre giornate.
Nessuno ha scelto di
nascere, ma tutti ci siamo trovati in
questa realtà. Comprendiamo da ciò che la vita non è qualcosa di nostro, che
noi pienamente dominiamo e che possediamo da sempre. In quanto ci è stata
“appioppata” da altri, la vita è in se stessa dono, in quanto donata.
Per il credente è donata
da Dio, che si è servito dei genitori rendendoli partecipi del suo atto
creativo.
Per il cristiano la vita
diventa, in questa prospettiva di donazione, dialogo con Dio. Nella nostra
esistenza umana Dio non ci abbandona a noi stessi, anche se in alcuni momenti
sembra abbandonarci. Dio si rivela il Dio dell’amore, ma l’amore per essere
vero, non ce lo dobbiamo scordare deve essere necessariamente libero e
liberante. Un’ amore che costringe non è amore. l’amore essenzialmente libertà
al punto che si può anche rifiutarlo.
Certamente ci appare come
un paradosso: Dio mi ama tanto di lasciarmi libero anche di calpestare il Suo
amore.
Nella parabola che
chiamerei “ della preparazione alle
nozze”, troviamo con un’immagine abbastanza familiare quella appunto delle
nozze la descrizione del nostro rapporto con Dio.
Dio nella figura del
padre prepara la festa di nozze per suo figlio. Noi siamo certamente gli
invitati ma anche i festeggiati, siamo figli di Dio, lo siamo diventati nel
battesimo e glielo ricordiamo, o meglio lo ricordiamo più a noi stessi che
facilmente lo dimentichiamo, ogni giorno quando lo preghiamo dicendogli “Padre
Nostro”.
Dio prepara per ciascuno
il banchetto di nozze, segno del suo amore, della sua premura, ho potuto
vederne un’immagine con quanto amore i miei genitori hanno preparato il
matrimonio di mio fratello, tutto doveva essere bello! L’amore produce
bellezza!
Allo stesso tempo siamo
anche gli invitati, ogni domenica ci viene ricordato dalla liturgia “ Beati gli
invitati alla cena del Signore”. Siamo invitati, abbiamo la partecipazione in
mano e possiamo nella nostra libertà accettare o rifiutare l’invito.
Certamente alla libertà è
legata la responsabilità, ogni azione provoca una conseguenza, anche questo
scritto ne provocherà … rifiutare l’amore di Dio implica rifiutare Dio stesso.
Possiamo anche trovarci
nella superbia di presentarci al banchetto non perfettamente vestiti. Il
vestito rappresenta ciò che uno è. Cosa è la nostra vita? Chi sono io in questa
vita?
Il dialogo con Dio che
sgorga dalla preghiera ci chiama ad una vocazione. A quel progetto bellissimo
che Dio ha su di me, su di te.
Dalla liturgia ci viene
l’invito forse a soffermarci e vedere più chiaro il nostro rapporto con il
Signore. Un buon inizio potrebbe essere un dialogo più autentico, in cui
viviamo un sincero dono di noi stessi: “ io
sono qui per te, oh mio Dio, non ho bisogno dietro una facciata di mostrarmi
migliore di quello che sono, io sono qui con i miei lati forti e quelli deboli.
Non
ho bisogno neppure di vestire l’abito dell’orante esemplare per presentarmi a
Te, o Dio. I miei limiti e i miei lati oscuri fanno parte di me e non devono
essere nascosti davanti a Dio”.
Se avremmo tale fiducia:
“ Il mio Dio, a sua volta, colmerà ogni nostro bisogno secondo la ricchezza con
magnificenza, in Cristo Gesù” e allora realmente potremmo sperare “ Abiterò per
sempre nella casa del Signore”.
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